martedì 26 settembre 2006

Aspetta e spera

Il mio amico Brambilla - perchè ormai siamo diventati amici, vista l'assiduità con cui mi segue e per la quale non finirò mai di ringraziarlo - solleva nel suo ultimo commento un problema che tutti noi, che abbiamo la responsabilità di una cucina, conosciamo bene. Chi sono i nuovi cuochi, da dove vengono, cosa fanno?
Diciamo subito, per capire bene il problema, che oltre il sessanta percento dei diplomati degli Istituti Alberghieri abbandona la strada per cui hanno studiato entro i 23 anni di età. Sulle motivazioni magari entreremo nel merito in un prossimo post. Sta di fatto che trovare oggi un commis, un aiuto, è un'impresa di non poco conto.
A Pasqua scorsa la mia aiuto (italiana) mi lascia alla fine del contratto. Comincio a guardarmi in giro, a chiedere a colleghi ed amici, ma dopo un po' di giorni, non avendo ricevuto alcuna risposta, decido di percorrere un'altra strada. Vado all'agenzia del lavoro dove hanno in mano tutte le richieste di occupazione, metto il mio annuncio specificando che non mi interessa personale con esperienza, tanto - in ogni caso - dovrò istruirmi io il nuovo arrivato.
Nel giro di qualche giorno mi si presenta una decina di candidati, tutti stranieri, e decido di chiudere lì per non trovarmi sommerso di troppe domande. Parlo con ognuno e prendo appunti: una ragazza ha il marito ammalato ed una bimba piccola, un'altra ha anche lei una bambina che gliela tiene la madre, un altro non vuole lavorare il sabato e la domenica, un'altra mi chiede subito quanto prende, un'altra non può lavorare alla sera, e così via. Alla fine decido per quello che mi sembra il meno peggio.
Il mio nuovo aiuto ha venticinque anni, con regolare permesso di soggiorno (non dico la nazionalità per non essere accusato di razzismo o di xenofobia), laureato (?) in economia nel suo paese ove ha fatto l'impiegato in banca, immigrato in Italia dove ha lavorato una stagione in albergo come lavapentole, dando una mano anche alle verdure. Ok, lo assumo.
Nei primi otto giorni di servizio (si può dire servizio, o è politicamente scorretto?) per tre volte arriva in ritardo; l'ultima volta una sera, quando aspettavamo una prenotazione di quarantacinque persone, si presenta quando stanno uscendo i dessert. Cosa fai? Come minimo ti incazzi di brutto, ma poi - passata la bufera - pensi che forse un accidente può capitare a tutti, e lasci perdere, sperando che non succeda più (povero illuso!).
Ultimamente si presenta con i soliti dieci-quindici minuti di ritardo, ma è più rincoglionito del solito. Come un bravo padre, lo prendo da parte e con tutta la calma e le buone maniere possibili cerco di capire se ci sono problemi.
"Ma di notte hai un altro lavoro?" Potrebbe essere uno di quelli che vogliono bruciare i tempi per raggiungere i propri obiettivi.
"No, no."
"Sei malato, hai qualcosa, dobbiamo chiamare un medico?"
"No, sto bene."
"Scusa, ma dimmi la verità: ti droghi? Non me ne può importare di meno, ma se ti fai, fallo alla sera, non prima di venire al lavoro."
"No, no, io non ho mai preso roba."
Sconsolato, abbandono la presa, salvo apprendere più tardi da mia moglie (istinto materno!) che da un po' di giorni alla sera si ubriaca perchè la ragazza lo ha lasciato. E che ca...volo! Prima mi è morta la sorella, poi mia madre, quest'anno mio suocero, ma ho dovuto lavorare lo stesso senza toccare un goccio di alcol.
Ora aspetto che scada il contratto, e via, avanti un altro.
Ogni giorno guardo con trepidazione l'oroscopo per vedere se gli astri mi annunciano un grande colpo di c: altro che un terno, volesse la fortuna di trovare un/una aiuto, italiano/a, volonteroso/a, disponibile ad apprendere un mestiere brutale ed affascinante. Chissà, la speranza è l'ultima a morire.

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1 Comments:

Blogger Erik, il Vikingo dice che...

Grazie mille.

03 ottobre, 2006 23:44  

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