martedì 5 settembre 2006

E parliamo di vino

Ringrazio i miei genitori che mi hanno insegnato a bere il vino, con moderazione, prima come complemento al cibo, poi come nettare da assaporare con tutti i sensi. Li ringrazio perchè mi hanno insegnato a non ubriacarmi mai, e quindi a cogliere l'essenza di una delle più grandi invenzioni del genere umano.
Il vino. Quando stappo una bottiglia con la B maiuscola, mi verso un calice, osservo il liquido che si incolla alle pareti di vetro per scendere più o meno velocemente, mi inebrio dei suoi profumi e quindi stuzzico ogni papilla con i suoi aromi dolci, salati o amari, quando ciò succede non posso non pensare alla bontà del Padreterno che ha creato l'uva, ed alla genialità dell'uomo che ha saputo arrivare al grado di perfezione attuale.
Ricordo che da ragazzino andavo a trovare i miei zii in campagna. Per me, cittadino, era sempre una festa: arrampicarmi su per il ciliegio e con mio cugino Giacomo fare scorpacciate di frutti lascivamente purpurei direttamente dal produttore al consumatore. O andare nell'orto della nonna, staccare un cetriolo dalla pianta e mangiarlo così, senza sbucciarlo, o meglio sbucciandolo con i denti boccone dietro boccone. O ancora, quando ci trovavamo tutti - nonna Maria, gli zii, i cugini, la mamma e me - attorno al grande tavolo a mangiare radicchio verde appena colto, uova sode, giardiniera (quanto adoravo quella giardiniera) e la polenta bianca che la nonna cucinava con saggia pazienza, mestandola lentamente per ore nel grande paiolo di rame, e che poi la zia versava sull'enorme tagliere dove veniva tagliata con lo spago. Non esisteva ancora la moda della polenta gialla: il mais serviva per ingrassare le galline e le oche.
In mezzo a questo quadro bucolico c'era però una brutta macchia nera, ed era il vino che mio zio mesceva con orgoglio, frutto della vendemmia, della pigiatura, dell'imbottigliamento fatto tutto in casa. Spero che Dio gli abbia concesso la gioia eterna, ma qualche annetto di purgatorio forse se lo è meritato per quell'orribile liquido che lui chiamava vino e che tutti dovevamo bere. Forse era l'uva impiegata (uva "bacò", non chiedetemi il corrispondente in italiano) o forse c'era qualche difetto nella filiera di produzione; sta di fatto che bere quel "vino" era il massimo dei supplizi, non solo per un ragazzino.
Mi vengono i brividi, quindi, quando qualcuno mi dice che conosce il contadino Taldeitali che gli vende il vino, fatto come una volta. Scusate, ma se devo suicidarmi preferisco il Tavernello.

Da allora, per fortuna, l'enologia ha fatto passi da gigante.
Per terminare in bellezza, auguro a tutti di fare un sei al Superenalotto bevendo, ma che dico, inebriandovi, esaltandovi, toccando il cielo con un bicchierino - non di più perchè non si può - di Piccolit, non quello industriale, ma quello vero, originale, quello che deriva da quel vigneto malato del Friuli, rivolto a sud, talmente raro che la spremitura viene fatta a mano. A me questa fortuna è capitata una sola volta nella vita, ma la ricordo meglio della prima volta a letto.
A proposito: sarà un luogo comune, ma provate a bere un ottimo bicchiere di vino in due in camera da letto. Non sarà forse un vino da meditazione, ma...
La sfiga è che ho sposato una donna astemia.

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1 Comments:

Blogger ruben dice che...

Non esistono gli astemi, così come non esistono gli stonati! Le persone vanno "educate"... Anche il mio compagno era astemio (o così diceva). Poi, un po' alla volta, prima con il bianco e poi con il rosso... La birra ha fatto il suo gioco e così anche il gin tonic. E adesso rimpiange i vecchi tempi, quando era un piacere salire sulla bilancia. Ma vuoi mettere quello che ha guadagnato? Ogni lasciata è persa... ;-)

07 febbraio, 2007 13:04  

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