sabato 21 ottobre 2006

La sindrome del profeta


"La nostra ristorazione ha fatto grandi passi avanti, ma nel complesso lo chef che punta in alto si trova di fronte alla mentalità dell'italiano, che è più a suo agio nella buona trattoria, dove si fa cucina 'a orecchio'. Forse dipende dal fatto che da noi non è sentito il rito del grande ristorante, così vivo in Francia".
Con queste parole Gualtiero Marchesi boccia l'italiano a tavola, parole riportate da Bar Giornale, mensile ben conosciuto tra gli addetti ai lavori della ristorazione, in un servizio dedicato agli chef che abbandonano Milano per trasferirsi in periferia.
Nel mio post del 16 ottobre, dove anticipavo la classifica della guida del Gambero Rosso, evidenziavo come la grande maggioranza dei locali più quotati sia nei centri medio-piccoli. Ora Bar Giornale torna sull'argomento, in particolare per quanto riguarda Milano, delineando uno scenario che non fa certo onore ai cittadini meneghini.
Marchesi, che è stato un precursore anche in questo senso lasciando i Navigli per Franciacorta, punta il dito sulla mentalità "da trattoria" degli italiani. Sicuramente siamo un popolo curioso, un popolo che preferisce buttar via centinaia di euro in telefonino o allo stadio piuttosto che nel piacere della tavola.
Di certo, a mio modesto parere, un ruolo importante e negativo ha giocato il fatto che quasi tutte le aziende, soprattutto gli enti pubblici, hanno delegato alla ristorazione privata il ruolo di mensa aziendale. Oggi la stragrande maggioranza dei dipendenti pranza fuori, vuoi al bar vuoi al ristorante, dove - per rimanere dentro i costi pattuiti con le società di tickets - si è abbassata la qualità del prodotto. Come contropartita il cliente con ticket è già sazio di uscire tutti i mezzogiorno, e quindi alla sera preferisce starsene a casa con la famiglia, e non sa poi riconoscere i ristoranti come portatori di un servizio che non è solo quello del ticket. In altri termini, il cliente del ticket alla ristorazione di qualità non porta nulla.
Più di una volta, parlando con colleghi stellati, li ho sentiti sospirare quando mi illustravano iniziative parallele alla loro ristorazione per ragranellare qualche denaro in più rispetto ai coperti di qualità. Così nascono le enoteche, le gastonomie, i wine-bar, le sale separate, tutto per venire incontro alla mentalità "da trattoria", come direbbe Marchesi.
C'è poi un altro dato, che chiamerò "la sindrome del profeta", non essendo un fenomeno di oggi, ma di sempre. Nemo propheta in domo sua, dicevano i latini, nessuno è profeta nella propria patria e vale per tutti i settori, compresa la ristorazione: più confidenza ha il cliente con lo chef, e minore sarà la considerazione professionale nei suoi confronti. Il piatto è ottimo, ma sembra che sia uscito da un cappello magico, non dalla tua testa e dalle tue mani.
Potremmo definirla anche come mania del verde altrui: è sempre più verde quella del vicino, perchè fa più scic.
Così, se l'italiano preferisce il locale fuori porta, ecco l'uovo di Colombo scoperto dagli chef che puntano alla qualità: andiamo fuori porta. Perchè dar loro torto?

Etichette: