venerdì 6 ottobre 2006

Quattro salti di omologazione

Mi sono appassionato in precedenza sui temi della tradizione e della territorialità. Non vorrei essere frainteso: come in tutte le cose, gli -ismi vanno presi almeno con cautela, se non addirittura con riserva. Sono per la tradizione e per la territorialità della cucina, con qualche riserva.
Difendo la territorialità come patrimonio, culturale in primis, di un popolo. Lavoro in una zona di montagna - come si sarà ben capito dai miei post - e quindi sento di rendere omaggio a questa terra proponendo piatti che si rifanno ai prodotti attuali e passati: quindi selvaggina e maiale, patate e funghi, rape e cavoli, speck e castagne, lamponi ed orzo, tanto per citarne alcuni.
Questo non vuol dire che non possa spaziare un po' più in là. Se faccio una crema da abbinare a delle fragole, certamente non rifiuto l'apporto di sapori lontani come la cannella o lo zenzero.
D'altra parte, sposare la tradizione a tutti i costi non solo rischia, ma porta sicuramente a blindare la cucina entro dei muri invalicabili ed anacronistici, che ci tagliano fuori dalla naturale evoluzione e dal mercato. Vi immaginate friggere delle frittelle nello strutto? Di certo ne acquisterebbero di sapore, ma è necessario - prima di portarle in tavola - chiamare il proprio assicuratore ed aumentare il massimale di responsabilità civile terzi.

Ultimamente ho tentato di reintrodurre in menu dei piatti che nessuno fa più, piatti molto tradizionali, molto legati al territorio, oltre che alla mia personale cultura gastronomica. Sarò sincero: è stato un flop, imprevisto ed imprevedibile. Come mai, visto che tanti chiedono di riproporre i sapori di una volta?
Mi hanno risposto - indirettamente e senza saperlo - i miei cari amici Patty e Piero, pizzaioli in fase di chiusura di attività. Mi raccontavano proprio ieri sera che un giorno, rimasti senza prodotto fresco, hanno aperto una scatola: in cucina sono arrivati i migliori complimenti dei clienti (!!!). Qualcuno potrà dire che dal popolo delle pizzerie non ci si può certo aspettare dei palati da gourmant; d'accordo, ma forse bisogna anche dire che questa è la cultura dei 4 salti in padella, dei sofficini, delle salse pronte. O forse l'industria riesce a fare delle cose migliori delle nostre cucine?
Non lo so, lo dico onestamente. E, quello che più mi importa, questo mi mette in crisi di fronte alla necessità di introdurre un piatto nuovo.

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1 Comments:

Blogger aidi dice che...

nn posso leggere tutti i post da quassù, ma ti dico che la cucina ceca è sottovalutata. io la adoro. ti scriverò qualcosa di più preciso in settimana.
un bacio da praga!
love, aidi

07 ottobre, 2006 19:20  

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