giovedì 5 ottobre 2006

Saigon, periferia di Cremona

Per capirci, non sono mai stato a cena da Walter Eynard del Flipot a Torre Pellice, e quello che so di lui è quello che ho letto sulle riviste di settore. Torre Pellice non dev’essere molto differente dalla mia tana, come Eynard non ho la possibilità di andare al mercato al mattino a comperare le aragoste appena pescate, se le voglio devo farmele spedire con corriere speciale.
Walter Eynard mi piace. Quando si parla di cucina del territorio, per capire di cosa parliamo basta leggere il menu del Flipot. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, oggi fa molto tendenza parlare di cucina del territorio: ma quale territorio? Basta intendersi sui termini. E’ come quando si parla di cucina tradizionale: ma quale tradizione? Quella di trent’anni fa, di cento anni fa o di cinquecento anni fa? Allora, cosa intendiamo per territorio? Quello che sta attorno a noi per un raggio di cinquanta, cento o mille chilometri?
Annie Feolde è onesta quando dice che si fa arrivare i maialini da latte dalla Spagna perché sono i migliori in assoluto; è onesta e la ammiro, perché non tenta di contrabbandare il porco nel piatto come maialino di Centa. Ho invece la vaga impressione che molto spesso si sfiori la truffa: gli asparagi di Bassano sono solo a primavera; a Natale o sono surgelati (magari di Bassano, ma surgelati) o sono d’oltreoceano.
Territorio come entità virtuale? Mi sta bene, se ragioniamo in termini di globalizzazione del mercato. Territorio è quindi, per me che abito nelle Alpi e sono collegato ad Internet, la Norvegia dove acquisto il salmone, o il Brasile da dove proviene la papaia o il Vietnam, da dove mi faccio mandare le alghe.
O territorio è invece quanto storicamente si produce (o si produceva, se ci rifacciamo anche alla tradizione) sulla terra che calpesto ogni giorno, o al massimo nella provincia di cui faccio parte amministrativamente e geograficamente?
Vedo ristoranti di territorio alpino che hanno in menu mazzancolle, pesce bandiera, sogliole, paccheri, polipi, gamberi, panzarotti napoletani, spigole d’amo, ricciole, olive taggiasche, lucci, funghi shiitaky, pesce persico. Intendiamoci sui termini: nulla vieta che possa aprire un ristorante di pesce sulla cima del Monte Bianco, ma non sono certamente un ristorante che fa cucina del territorio. Così come è perfettamente legittimo che io apra a Palermo un locale specializzato in cassoela o in ossobuchi con il risotto allo zafferano, ma non posso chiamarlo “Vera Sicilia”.
Walter Eynard - per tornare ai nostri montoni, come dicono i francesi – sa fare cucina di alto livello con il capriolo ed il ginepro, con la toma e il pino mugo (Walter, mandamene un ramo, per favore, da noi è proibito coglierlo!), e si merita la Michelin. Forse non sappiamo più come sfruttare le patate e le rape, la gallina dell’orto o i fegatini.
Sicuramente il fois gras fa più scic.

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