martedì 19 dicembre 2006

Luci ed ombre, colori e forme


Finchè cenavo stasera guardavo la tivi ed osservavo il trailer di uno dei tanti sceneggiati, pardon, soap opera prodotti dalla nostra tivi di Stato.
Le soap opera nostrane potrebbero anche essere accettabili sotto il profilo della sceneggiatura, ma - abituati ai telefilm americani - quello che balza subito all'occhio (è proprio il caso di dire) è l'illuminazione. Non dico di X-Files, girato tutto in una stanza con uno spot da 100 watt, tanto non si vedeva mai niente, salvo qualche contorno del viso degli attori. Ma guardiamo qualsiasi altra serie, anche non eccelsa sotto il profilo della regia: pensiamo a ER, Casalinghe Disperate, Lost o Sex and the City, tanto per citare i più seguiti. In tutti l'illuminazione è "reale", la luce cioè sembra provenire da un punto-luce ben definito, e dà la profondità, la rotondità dei volumi (mi sembra di far un compito di storia dell'arte al liceo, sig!).
Nei nostri la luce, con quello che costa, arriva da trecentosessanta gradi. Osservateli bene, non ci sono ombre, anche se la scena si svolge su una spiaggia a mezzogiorno del 15 agosto.
E' come la linea di demarcazione tra le foto porno e le foto dei nuovi fotografi russi, tipo Pasha. Le prime sono ormai più ginecologiche che porno, le seconde sono erotiche, anche quando il sesso è ben in vista, e ve lo dice uno che se ne intende (nel senso che, come ho già detto, mi dedico alla fotografia quando me se ne offre l'occasione).
Purtroppo lo stesso discorso vale a tavola. Enrico, quel mio amico che ho già citato altre volte, mi diceva che gli americani usano le luci bassissime in ristorante per non vedere cosa c'è nel piatto. I francesi fanno lo stesso: tante luci in sala, ma non più di quindici watt per lampada.
Ho convinto mia moglie - che è la mia dittatrice di sala - a passare dai centocinquanta ai quaranta watt per lampada: è tutta un'altra cosa. Il prossimo anno abbasseremo ancora, ma non è solo questione di risparmio sulla bolletta.

Più alta è la luce in sala, più sarà alto il volume della voce dei commensali, provare per credere. Poi, in una cenetta romantica, non c'è niente di peggio per una donna sentirsi a disagio di fronte al proprio uomo, effettivo o potenziale che sia, e la prima fonte di disagio è una illuminazione violenta che metta a nudo la rughetta, il brufolino, la sbavatura del mascara.
Luci ed ombre. L'ombra esalta la luce, e viceversa. E' lo stesso salto di qualità di quando siamo passati dal piatto orizzontale al piatto verticale, dalla bidimensione alla tridimensionalità. Perchè va tanto di moda il tortino, la mousse, il flan, il bicchiere? Non è soltanto un fatto papillare, ma prim'ancora ottico.
Un mio chef diceva: ricordatevi sempre che la degustazione del piatto arriva alla fine, ultima di un lungo processo. Il cliente arriva al vostro ristorante e non trova da parcheggiare, sta per entrare e trova le immondizie di fronte alla porta, entra e non c'è nessuno che lo accolga, il locale risuona di rumori e vociame, l'aria è ammorbata da fumi e olezzi non proprio gradevoli, finalmente viene accompagnato al tavolo e trova la tovaglia macchiata o le posate sporche, va a lavarsi le mani e c'è monnezza dappertutto, torna al tavolo e la cameriera non lo manda a quel paese, ma quasi. Direte: che sfiga!, neanche fosse venerdì tredici. Bene, o meglio male; se anche il vostro risotto è il miglior risotto del mondo, come pensate che quel cliente accoglierà la vostra opera d'arte?
Comunque, anche se tutto prima è andato via liscio, il nostro ospite - prima di affondare la forchetta nel nostro risottino - vede il risotto: dall'occhio parte un'input che va al cervello il quale comanda se è buono o meno, prima ancora di assaggiarlo.
Perchè una squallida bistecca ai ferri al ristorante è sempre più buona di quella fatta a casa? Per un motivo molto semplice: la nostra casalinga disperata butta la bistecca nel piatto come fossero i Friskies per il gatto. Lo dico sempre alle mie donne: levate due foglie di lattuga dall'insalatiera e mettetele sul piatto (il letto), mettete due pomodorini - sempre levandoli dall'insalatiera - ai bordi della lattuga, appoggiatevi sopra l'ignominiosa bistecca, e - volendo strafare - guarnite con qualche fettina (non dico zeste, perchè non mi capirebbero) di buccia di limone. Abbiamo il verde dell'insalata, il rosso del pomodoro, il bruno della carne ed il giallo del limone: invitante? certamente, e la bisteccuzza è buona come quella del ristorante.
E' il solito vecchio discorso. Anche Cameron Diaz, ammesso che si alzi alle sei del mattino, senza trucco, spettinata, con il pigiamone anticoncezionale e le occhiaie fa passare ogni cattivo pensiero.
Vesti na colona, pararà na bea dona, diceva mia mamma.

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