Menu di Natale e carta igienica
Chi fosse ancora incerto su cosa fare per Natale un giornale di oggi dedica una pagina ai menu di quattro luminari della nostra ristorazione: Nadia Santini del Pescatore, Gianfranco Vissani, Luisa Valazza del Sorriso e Nadia Moroni di Aimo e Nadia, che non hanno bisogno di presentazioni né di pedigree.
Denominatore comune: la tradizione, dice il giornale.
Vado veloce.
Santini: terrina di salmone selvaggio, astice, caviale... Recentemente ho appreso che a Milano fanno il caviale (non sto scherzando, c'è un allevamento di storioni da cui ricavano il beluga, strepitoso come quello del baltico), forse in Sardegna si trovano anche gli astici oltre alle aragoste, ma sui torrenti del Trentino o della Val d'Aosta non mi risulta che salgano i salmoni selvaggi.
Vissani: nulla da eccepire, salvo il fatto che - secondo i dettami tradizionali - nello stesso menu non si possono avere due piatti consecutivi con lo stesso ingrediente (pappardelle agli scarti del cappone, e subito dopo cappne bollito). Analogo discorso per la già citata Santini (agnoli in brodo di gallina, subito dopo gallina bollita). Vabbè.
Valazza: a parte il topinambur dell'antipasto, deve avere delle belle serre riscaldate per cogliere gli asparagi quattro mesi prima. Così mi pare improbabile che nel Novarese sia nella tradizione usare i frutti della passione e l'anchecheggi.
Moroni: nulla da dire, ma mi piacerebbe assaggiare il mascarpone di bufala.
Ma tutto questo è amenità.
Non sono certo io che mi scandalizzo, dal momento che sposo la cultura mitteleuropea del goulasch con il couscous mediterraneo, ed ai clienti piace.
Quello che non digerisco è che anche in cucina, di riffa o di raffa, entri la propaganda politica. Certo, anche far cucina è politica, se la intendiamo come un fatto legato alla polis di greca memoria, cioè alla comunità umana. Diversa è la propaganda politica, cioè per uno schieramento di parte.
Il giornale, da cui ho tratto lo spunto, in verità - in questo periodo di astinenza forzata per lo sciopero dei giornalisti stampati - è un insieme di fogli di carta igienica, che usa molto il nero, non solo tipografico, e che evidentemente è la voce del padrone, se esce quando gli altri sono in agitazione sindacale.
Cavoli suoi, ma propagandarmi un certo tipo di cultura non mi sta bene. Dirmi cucina della tradizione (che abbiamo visto che esattamente non è) è una sottile operazione di propaganda ad usum delphini. "Ma che questo sia l'anno del ritorno alla tradizione?" si interroga il pennivendolo. E certo! Ma ritorneremo sull'argomento, perchè ce n'è ancora molto da dire.
2 Comments:
Scopro solo oggi il tuo Blog e da mezzo novarese devo smentirti.
Gli alchechengi sono talmente comuni da trovarsi sulle rive dei fossi. E' uno dei pochi frutti selvatici dell' autunno-inverno e ancora ricordo le scorpacciate accompagnando a caccia mio padre. Tra Novara, Vercelli e Pavia, non c'è pasticceria che non li ricopra di cioccolata.
Per lo storione, è un pesce che dal 1500 ad inizio secolo era comune pescare in Po, da Torino fino a Venezia. Anche oggi non è del tutto scomparso e seppur raro, vengono pescati esemplari selvatici e non immessi da ripopolamenti.
A presto,
Q
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