sabato 20 gennaio 2007

Avventure agrodolci


Non è facile parlare di cibo, di cucina, di ristoranti, senza cadere nel déjà vu o déjà dit, nella banalità, nella ricetta pronta all’uso.
Ho appena finito di leggere il terzo lavoro di Anthony Bourdain, Avventure agrodolci, editore Feltrinelli. Se il primo aveva colpito me e le centinaia di migliaia (o forse milioni) di lettori in tutto il mondo per la brillantezza della scrittura, l’acutezza delle analisi, il sarcasmo nella descrizione di vizi e difetti delle cucine neworkesi, e diciamo pure anche per la novità delle argomentazioni, con il secondo abbiamo scoperto la gastronomia dei paesi e delle popolazioni più remote del pianeta, dal cuore (vivo!) trangugiato in mezzo alla foresta cambogiana, al capretto cotto al forno in mezzo al deserto dai tuareg.
Sulla scia del mega successo del primo libro, Bourdain ha cavalcato la tigre, compiacenti l’editore americano e la New York Time’s Television. Con cameraman e compagnia cantando al seguito, a spese loro ha girato in lungo e in largo i continenti, cercando (nel secondo volume) il cibo perfetto, raccontando poi (nel terzo) le avventure capitate, ma spesso cercate.
Sarò sincero, come il mio solito.
Non mi ha entusiasmato più di tanto. Qui non si scoprono gli altarini, non emergono gossip sugli chef americani o sui loro patron, non scopriamo nulla. Ecco, poteva intitolarsi la Grande Abbuffata.
Lo chef (o ex chef?, non si capisce bene) del Les Halles mangia, mangia, mangia e ancora mangia fino a vomitarsi addosso, beve, beve, beve e ancora beve fino a perdere i sensi. Come abbia fatto a descrivere le portate di questi pranzi e cene con lucidità, lo sa solo lui (io non mi ricordo neanche quello che ho mangiato ieri sera).
La sensazione, onestamente, è più di disgusto che di com-passione.
Diciamo anche che non tutto è negativo. Vi sono molti spunti sui quali riflettere, molte considerazioni da condividere o anche da contestare, ma comunque da prendere in considerazione, come – per esempio – sul concetto di cibo secondo Ferran Adrià.
A proposito di quest’ultimo – ma ho un vago sospetto che Ferrà lo abbia invitato a mangiare dentro la sua cucina grazie al seguito televisivo, più che come autore di libri. E chi è Bourdain? Avrei detto io se fossi stato Adrià) – si sente che sotto sotto non approva la sua cucina sperimentale: sì, piatti eccezionali, unici, metafisici, ma non c’è un giudizio di merito. E’ diversa, punto e basta.
Un consiglio se comperarlo o no? Beh, l’ultimo capitolo prima dei commenti vale da solo il prezzo di copertina. Qui Bourdain torna ai suoi massimi livelli, quando si dimostra insuperabile nel descrivere luoghi, personaggi, peccati, pensieri reconditi di uomini e donne di cucina e di sala. E’ un bellissimo racconto di Natale, ovviamente molto americano, con finale buonista.
Se non vuole fare la fine di Patricia Cornwell ed essere relegato nell’ultimo scaffale in basso delle librerie, Bourdain deve inventarsi qualcos’altro per il prossimo lavoro.
Parlare di cucina & dintorni senza annoiare è difficile, molto difficile, lo so bene.

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3 Comments:

Anonymous Anonimo dice che...

prova a chiedergli le so la gratis o per amor populi???

21 gennaio, 2007 03:33  
Blogger Erik, il Vikingo dice che...

Caro Happy, ha trovato il modo per non sgobbare più dietro ai fornelli e divertirsi con i soldi degli altri, lo ammette lui stesso.
Ora fa i milioni in $ con Discovery Channel. Chiamalo cretino!

21 gennaio, 2007 17:34  
Blogger Sandra dice che...

E magari smettere di scrivere??? ;-D
Meglio il ricordo di qualche bel libro che un altro brutto libro, no??
P.s. sel gris de guerande in arrivo a da nice!

22 gennaio, 2007 00:54  

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