sabato 13 gennaio 2007

Cinquecento dollari a cranio


Se vuoi il meglio, devi essere disposto a sganciare a cuor leggero anche cinquecento dollari per una cena. In alcuni casi un conto salato è davvero sinonimo di buona qualità.
E l'esempio migliore è il Masa Takayama, un minuscolo sushi bar-ristorante - tredici coperti in tutto - al quarto piano dell'anonimo centro commercia­le che si trova all'interno dell'edificio della Time Warner a New York. Di solito viene presentato come il locale più costoso del paese. Se si vuole passare una serata indimenticabile al Masa, bisogna mettere mano al portafoglio (altrimenti, accanto c'è il Bar Masa, più abbordabile).
E ne vale la pena, dal primo all'ultimo centesimo.
Mi spiego meglio. Si parte da un minimo di centocinquanta dollari a persona (tasse, mance, bevande e altri extra esclusi), ma vi assicuro che non è niente. Anzi, è l'affare del secolo. È un momento impagabile, in cui dare libero sfogo ai propri desideri, co­me fare sesso al volante di una Aston Martin con due escort da cinquemila dollari a notte.
Immagina di essere uno dei tredici clienti seduti a un lungo, ampio bancone di hinoki chiaro, così caldo, invitante e delizioso che ti ci vorresti sdraiare sopra e schiacciare un bel pisolino, oppure passare la giornata a strofinarci contro la guancia... se non le parti intime. Il maestro del sushi più celebrato del paese è davanti a te con un coltello, una grattugia e un pezzo di wasabi. Ai suoi lati sono disposte alla rinfusa montagnole di pesce, una visione sen­suale come non ti saresti mai potuto sognare, nemmeno in un pa­radiso ittico al sapore di soia. Trattieni il respiro, strabiliato, e ri­mani a bocca aperta davanti a quei mucchietti di ventresca di ton­no rosa pallido, squisitamente grassa, arrivata il mattino stesso da Tokio. Due assistenti con la testa rasata aiutano in silenzio lo chef e si muovono tra le austere canne di bambù e un semplice grill di pietra. Non c'è un menu, dunque non sai mai cosa ti arriverà. Mentre te ne stai lì seduto, ti senti già il sangue alla testa, le labbra congestionate, un lieve tremolio alle mani, l'acquolina in bocca, una leggera eccitazione nelle parti basse, e hai la certezza matema­tica che questa sera nessuno al mondo mangerà meglio di te. Sei da solo nell'ogiva di un razzo diretto verso l'epicentro del piacere gastroculinario. E non vorresti essere in nessun altro posto.

Se il resoconto della serata vi sembra tratto dalle pagine di una rivista porno di second'ordine, non lasciatevi condizionare. Anda­te al Masa. Subito. Prenotate a tarda sera e arrivate in orario. Non dovete fare altro che sedervi in silenzio e rilassarvi. Penserà a tutto lui. Abbandonatevi all'esperienza. E gustatevela.
Queste parole non sono, ovviamente, mie. Ho voluto proporle per rispondere ad un commento di Anonimo, assolutamente senza rancore.
Non è detto che pagare molto sia sinonimo di mangiar bene, come dice Tony Bourdain nel suo "Avventure agrodolci" da cui sono tratti i brani, ma insomma...

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4 Comments:

Blogger Pepenero dice che...

prima di tutto ti faccio i miei complimenti per questo gradevolissimo blog: spero che tu non sia uno di quei blogger che ad un certo punto si stancano di scrivere!
Questo ristorante di cui parli si trova a new york?

13 gennaio, 2007 23:41  
Blogger Erik, il Vikingo dice che...

Yez, caro Pepe. Continua anche tu, che vai bene.

14 gennaio, 2007 06:15  
Anonymous Anonimo dice che...

non ho capito il nesso. forse era un ingenuo suggerimento di marketing, il mio. ma dedurne la mia disponibilità a spendere o meno, i miei gusti (tonno riomare? blah), le mie capacità di discernere la qualità o meno, e capire da due righe come sarei, beh, gentile signore, non so che dirle.

14 gennaio, 2007 12:32  
Blogger Erik, il Vikingo dice che...

Anonimo, non ce l'ho con te, affatto, e non metto assolutamente in dubbio la tua capacità critica.
Voglio solo dire che a volte ci facciamo da soli dei preconcetti (per esempio prezzo-qualità) che poi si rivelano fasulli. Tu stesso dicevi del sushi...
In una vita precedente mi hanno insegnato a non presumere, ma a chiedere sempre, nel nostro caso a provare.
Se va bene, lo mettiamo nel nostro libretto dei buoni, se va male lo cancelliamo per sempre.
Almeno io la penso così: provare. Al limite sappiamo cosa abbiamo buttato via.

14 gennaio, 2007 16:22  

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