venerdì 16 febbraio 2007

Chi è il food designer

Continua sul blog di Gourmet l’analisi sul food design. “Ma chi è il food Designer? – si chiede Micaela Ballario -E' un cuoco o un progettista? Oppure è semplicemente una figura professionale ibrida? Qual è il confine tra le due cose?” E taglia corto: “In realtà non bisogna confondere quella che è la cucina creativa con il food design”, aggiungendo che “se design è serializzazione, come fanno gli chef a definire i loro piatti opere di food design? Sta proprio in questo la distinzione tra food design, piatto creativo o semplicemente composizione del piatto”.

Mi permetto di dissentire, partendo proprio dalla fine. Nella cucina professionale la serializzazione è un obbligo: quando un piatto entra in menu, va pensato in termini “industriali”. Non basta realizzare una ricetta, ma pensare che quella realizzazione deve inserirsi in situazioni anche estreme, quando – per esempio – devono essere fatti altri cinque, dieci o quindici piatti diversi contemporaneamente, perché in sala è questo che chiedono. Il cuoco deve cioè pensare alla sua realizzazione che deve essere perfetta e veloce; ecco quindi la necessità di “razionalizzare” la ricetta.

Non solo, ma il piatto – anche se è un’opera “unica” – deve essere seriale, deve cioè essere sempre uguale a se stesso anche quando viene fatto dieci, cento o mille volte, ed anche a distanza di tempo. E’ brutto a dirsi, ma il piatto – pur nella sua artigianalità (da: ars, arte) – dev’essere concepito in maniera industriale, come dimostra il catering e la buffettistica, dove il primo piatto dev’essere uguale al quattrocentesimo che esce dalla cucina.

Se poi pensiamo al food design come tutto quello che è relativo al cibo, non è forse designer il cuoco – penso a Gualtiero Marchesi – che progetta anche la forma del piatto (come contenitore) o della posata da abbinare ad un certo piatto (come ricetta)?

Su un’altra lunghezza d’onda, ma siamo sempre nel campo delle opinioni, si muove Chiara Perderzoli che, nel numero di gennaio-febbraio di Grande Cucina Professionale & Wine, sintetizza il concetto in “con il cibo e per il cibo” aggiungendo che “il designer guarda al progetto, lo chef cura le regole”.
Ma se è lo chef che cura le regole ed il progetto, possiamo ben dire allora che il cuoco è anche designer. Penso a Ferran Adrià, che è l’esempio più importante.

Allora questa separazione tra le due figure mi sembra riduttiva, un’erezione di steccati per difendere il proprio orticello. Credo, invece, all’ipotesi che Micaela Ballario scartava in premessa, che il food designer sia proprio una figura ibrida, un po’ cuoco e un po’ progettista, una persona che concepisce un progetto e lo realizza avvalendosi per i diversi aspetti di collaboratori vari, siano essi altri cuochi o ingeneri dei materiali, ceramisti o fisici, esperti di packaging o chimici, un direttore d’orchestra che sa dirigere, ma anche suonare.

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