giovedì 1 febbraio 2007

Musica e vino


Sotto l’abete da poco smantellato mi sono regalato l’ultima fatica (?) di Baglioni. A dire il vero, il regalo era per la signora RedChef, ma, come supponevo, ha finito per diventare totalmente mio perché la suddetta non ha nemmeno scartabellato il cellofan della confezione.
Ho già avuto modo di esprimere un primo giudizio su un blog amico, dopo aver ascoltato il n.1 della raccolta. Oggi pomeriggio ho sverginato il n.2. Tanta è stata la gioia di risentire i brani della mia gioventù, quanta la rabbia per il dissennato stupro che ne ha fatto il Baglioni. Per usare un paragone culinario, potremmo definire questi due cd come un filetto ben cotto: massacrato.
Il massimo della dissacrazione è su Tenco, ed in seconda battuta su Endrigo e Paoli. Tutti i brani sono serviti nella medesima salsa burrosa ed alla fine del pasto-ascolto ti viene una nausea che cerchi il bagno più vicino per liberarti stomaco ed intestino più presto possibile.
Una monotonia più unica che rara, e dico monotonia nel senso etimologico della parola: stesso tono, piatto, monocorde, sia che si tratti del quasi sussurrato Battisti di Emozioni, sia che interpreti il Mondo di Jimmy Fontana. Tutto al ritmo di un 3/4, o qualcosa di simile, per cui anche un languido Lontano Lontano di Tenco si trasforma in una specie di fox-trot. Manca solo che la prossima volta Un giorno dopo l’altro diventi un salsa.
Non si salva neppure l’orchestra. Nell’intento di farne un qualcosa di lirico, Baglioni ha scelto una band sinfonica che si appiattisce in un arrangiamento monocorde. Non c’è il guizzo di un solo strumento, un violino, un piano, che ne so?, un controfagotto, che sottolinei un momento, che esalti un passaggio, come avviene in un qualsiasi spartito di musica d’autore, come amerebbe dire Maurizio Pollini.

Di fronte ad una situazione del genere viene naturale fare i paragoni con qualche altro mito della musica leggera nostrana, e mi viene in mente di tracciare dei profili paralleli con i vini.
Celentano: una barbera che dà il meglio di sé, sia come annata invecchiata, sia come vendemmia recente.
Mina: un grande cognac, da sorseggiare con voluttà per abbandonarsi nei suoi molteplici profumi.
Fiorella Mannoia: un vin santo doc, poche bottiglie preziose.
Cocciante: un grande champagne, ovviamente, da bere in compagnia per occasioni speciali, o da soli per ubriacarsi nella nostalgia.
Morandi: un lambrusco per una piadina senza impegno.
Baglioni: nella versione tappo sughero ancora amabile, in tetrapak un Tavernello.

Considerazione finale. Appartengo a quella generazione che per prima ha conosciuto ed amato il Baglione di Piccolo Grande Amore, di E tu, e poi di Porta Portese. Su quelle colonne sonore abbiamo costruito i nostri flirt, i nostri piccoli grandi amori, e quindi trovo il Claudio di oggi non solo cambiato, come è naturale, ma destrutturato, un’altra cosa, un ectoplasma sfuggente. L’ho visto recentemente da Fabio Fazio e non mi è piaciuto nemmeno lì, mi è sembrato qualcosa di indefinito e di costruito al computer, un essere virtuale. Cambiato, in tutti, tutti i sensi?

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2 Comments:

Blogger ruben dice che...

Ben detta! m'inchino...

E continuo la lista con altri fra i miei amati...
Un Martini per la Vanoni( la Milano che beve...)
Un Campari shakerato per Patty Pravo (demodé ma chic)
Un Cabernet per De André (da taverna buia...)
Un Barolo chinato per Paolo Conte (vino snob)
Un Bellavista per Gaber (frizzante e "pungente")
Una birra belga per Rino Gaetano (sembra innocua ma ti stronca...)
... e qui mi fermo! troppo bello il gioco, andrei avanti in eterno...

02 febbraio, 2007 11:05  
Blogger Erik, il Vikingo dice che...

Sei grande Ruben!

02 febbraio, 2007 17:03  

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