venerdì 15 settembre 2006

La prova del cuoco (3, e che sia l'ultima!)

Il cibo è comunicazione.
Su questo tema ho avuto la fortuna di assistere ad una conferenza di un professore dell' Università di Roma (me ne scuso con lui se non ricordo il nome). All'inizio sembrava l'esposizione di una delle tante teorie fantasiose che questi studiosi si inventano per crearsi una visibilità. Con il passare dei minuti ho capito quanto invece fosse vero e quali fossero le conseguenze pratiche (denaro, intendo) del fatto che il cibo è comunicazione. Faccio degli esempi sintetici - e quel professore, se mi legge, mi perdoni - per capire cosa intendo.
Da sempre il cibo esprime la storia, l'economia, la geografia, il clima, la politica, la cultura di un popolo o di una classe sociale: il principe mangiava il fagiano, il contadino le patate, l'eschimese il pesce congelato, il cinese il riso. In Alto Adige ancora oggi esistono due piatti - la padella del signore e la padella del contadino - che si differenziano perchè il primo viene fatto con la carne cruda ed il secondo con gli avanzi di carne cotta.
Altro esempio: la polenta racconta di generazioni allevate tra gli stenti, quando il pane era un lusso, e via dicendo. E questo vale per qualsiasi alimento.
Il cuoco moderno, e più ancora quello futuro, è colui che gira tra i tavoli (vedi post precedente) non solo come PRman, non solo per chiedere se "tutto va bene", ma soprattutto per comunicare il cibo, la cultura che sta dietro al cibo.
Personalmente trovo una grandissima soddisfazione professionale a preparare la mia selezione di formaggi locali. Di creativo c'è ben poco, ma quanta felicità nel trasmettere al mio commensale parte di quello che so su ogni tipo di formaggio presentato, sulla sua lavorazione, sulle sue qualità, sulla tradizione secolare che ha portato a questo tipo di prodotto, sulla mia ricerca per trovare il meglio sul mercato. Tralasciando da parte mia ogni forma di saccenteria, vedo che il cliente ne rimane affascinato, capisce cosa sta mettendo in bocca, lo gusta e non lo deglutisce, assimila una cultura che altrimenti andrebbe persa, travolta dai carretti delle fattorie o dai mulini bianchi di cartapesta o dai falsi fraticelli.
E questo poi si traduce in denaro. Perchè quel cliente sa (e molto spesso lo trasmette agli altri, il passaparola) che lì ha mangiato quel particolare prodotto, si ricorda di quanto era buono, e ritorna per riassaporarlo, magari portando gli amici.
Questo da solo fa dimenticare la fatica di ore passate a scottarsi le mani.

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