lunedì 2 ottobre 2006

Estote Parati

Tra le varie fortune che mi sono capitate nella vita c’è anche quella di essere stato prima lupetto e poi scout, forse nel periodo di massimo sviluppo dello scoutismo in Italia.
Lasciando perdere il florilegio di barzellette e di sketch sugli scout che aiutano le vecchiette ad attraversare la strada, lo scoutismo mi ha insegnato moltissimo non solo per la sopravvivenza – per questo lo consiglio ai famosi dell’Isola – ma anche per la vita professionale.
Il ”grido di Akela” che facevamo da lupetti era “del nostro meglio”. Ogni volta che progetto prima, e realizzo dopo, un piatto, mi viene sempre in mente il grido di Akela: devo farlo nel migliore dei modi, e quando ho trovato quello che in quel momento è il migliore, sono assillato dal pensiero che esiste un modo migliore per farlo, come diceva il mio amico vetrinista Mario. Questo l’ho trasmesso ai miei figli, quando un po’ di svogliatezza li prendeva nel fare i compiti: farlo bene o farlo male non è lo stesso, perché a farlo male ci si mette il doppio di tempo, dovendo rifarlo.
Gli scout, da parte loro, hanno un motto che portano (o portavano) ricamato sul braccio: Estote Parati, siate pronti. Mi è venuta l’idea di farne un cartello e metterlo in cucina, non tanto per me, quanto per gli altri.
Essere preparati è l’essenza dell’organizzazione in cucina per non andare in m… , come si suol dire. Riuscire a prevedere – nonostante i chiari di luna – come andrà questa sera o domani a mezzogiorno e prepararsi di conseguenza, non è roba da astrologhi, ma da chef. Chi lavora in albergo o fa banchettistica è molto avvantaggiato dal cuoco di ristorante: i primi sanno in anticipo sia il menu che quante persone avranno a tavola, i secondi invece devono fare i conti con l’imprevisto, ed io sono in questa categoria.
Un grande chef una volta ha detto che ogni volta è un esame, fare un piatto bene significa farlo una, dieci, mille volte sempre bene. Quale verità.

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