domenica 22 ottobre 2006

Lezioni da chef - 2


A.B., al secondo punto del suo decalogo su come diventare chef, indica lo studio della lingua spagnola. Questo è valido in via prioritaria per gli americani, se è vero che nel giro di pochi anni lo spagnolo sarà la lingua più diffusa negli USA, più dello stesso inglese.
Il concetto è comunque valido anche per noi italiani, da sempre ignoranti in fatto di lingue straniere.
Nelle scuole alberghiere dovrebbero insegnare almeno due lingue obbligatoriamente, l'inglese ed il francese, non in maniera scolastica, ma come Dio comanda, a meno che gli insegnanti non siano dei mostri, come - ringraziando Iddio - è successo a me.
L'inglese, anche se non è la lingua più diffusa al mondo (cinesi ed indiani sono più numerosi degli anglosassoni), è comunque la lingua comune in moltissimi settori, pc ed Internet compresi. Inviare un curriculum via email, tradurre una ricetta (a proposito, imparate a tradurre anche i pesi inglesi di cucina, come tazza, cucchiaio, bicchiere, ecc.), partecipare ad un forum, fare una telefonata all'estero: se sapete bene l'inglese non avrete problemi di sorta, altrimenti sarete un tipico italiano ignorante.
Raccomando anche il francese, perchè molti termini di cucina sono francesi, e non c'è niente di peggio che scrivere in un menu una parola sbagliata; ricordate che fra i vostri clienti c'è sempre qualcuno che ha studiato, e darà un giudizio certo non positivo sulla vostra cultura generale, e di conseguenza anche culinaria. Alcuni hanno tradotto i termini francesi in pessimo italiano - pensiamo a gateau tradotto in gattò -, lasciate perdere ed usate lavapiatti se non sapete usare plonger. Se, poi, volete andare in Francia a perfezionare le vostre tecniche di base e per mettere un po' di oro sul vostro curriculum, non potete pensare di parlare in bergamasco o in sardo nelle cucine d'oltralpe.
E qui arriviamo al punto principale.
Sia che i vostri genitori abbiano un ristorante con tre stelle Michelin, sia che la vostra aspirazione sia fare per tutta la vita il commis nella trattoria di campagna, ricordate che nulla vale quanto un viaggio all'estero, meglio se una esperienza lavorativa. Oltre ad imparare sicuramente qualcosa (anche se andate in Corea), c'è sempre qualcosa da portare a casa, e non penso ai posaceneri ma alla cultura altrui.
Luigi, uno dei fotografi del mio paese e giudice di gara FIS, più di una volta si è portato appresso degli amici albergatori quando andava in Austria o Germania; finchè lui cronometrava la gara di Coppa del Mondo, i suoi amici osservavano quanto potevano copiare dai colleghi teutonici. Ma, regolarmente, alla dogana del Brennero lasciavano di là ogni idea.
Voi, aspiranti chef, imparate la lezione. Anche se andate in vacanza a Sharm El Sheik, guardatevi attorno e vedete cosa c'è di interessante per il vostro lavoro; sicuramente in qualche bancarella del Suk c'è una spezia che non conoscevate, comperatela e fatevi spiegare come e quanta adoperarne. Sarà il vostro segreto per rendere unico il vostro piatto.
Quindi, ricapitolando, studiate e studiate ancora le lingue, se non le avete studiate a scuola; se invece avete già le basi, leggete qualche rivista o visitate qualche sito straniero. Io, ad esempio, sto traducendo un intero libretto sulla cucina americana; onestamente non so quando lo finirò, ma vi assicuro che è un ottimo esercizio.
E poi viaggiate, lasciate le gonne della mamma, le tette della morosa e l'ombra del campanile, e viaggiate.
L'alternativa è di rimanere un tipico cuoco italiano ignorante.

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