venerdì 9 febbraio 2007

Food design


Sto seguendo con interesse quanto sta scrivendo Micaela Ballario per Gourmet sul food design e quello che dirò è opinabile (per questo esistono i commenti).

Forma e sostanza. Per me sono un tutto unico, volenti o nolenti. Sia che mi metta uno smoking o un costume da bagno, a seconda delle circostanze particolari, la sostanza rimane sempre quella, cioè io: mi darò un abito particolare, un design, a seconda della necessità del momento.
Lo stesso dicasi per un piatto, e parto dall’esempio fatto in commento al post di Gourmet, degli spaghetti al pomodoro.
Se sono al campo militare l’unico design concesso è la mia razione nel vassoio inox (in fin dei conti devo solo nutrirmi). Ma se devo servirli nel mio ristorante devo studiare il modo più accattivante perché essi siano attraenti per il senso visivo, prima di diventare piacere attraverso il senso olfattivo e gustativo.
Per prima cosa devo scegliere il contenitore, e qui il discorso diventa ampio, perché dire piatto non basta. Potrei servirli in una ciotola o in una scodella, o anche in un bicchiere, o in un barattolo di pomodoro, dipende da altri fattori contestuali (qual è il mio ambiente? Che tipo di cucina propongo complessivamente? Voglio mandare un messaggio di continuità con la tradizione o di rottura? Qual è il mio target di clientela, o quale vorrei che fosse? Quali risorse economiche posseggo per “personalizzare” il contenitore?).
Poniamo che decida per il piatto. Potrei investire una certa somma per acquistare dei piatti solo per gli spaghetti al pomodoro. Bene. Di che colore prendiamo il piatto? Bianco è banale, ma è anche asetticamente neutro, è tradizione, oppure potrei optare per il contrasto cromatico, il rosso (degli spaghetti) su un fondo grigio-perla.
Abbiamo già due elementi: gli spaghetti ed il piatto. Rimanendo in tema di cromatismi potrei già decidere la guarnizione; per scelta personale tutto quello che metto nel piatto dev’essere commestibile, ma nulla toglie che possa sbizzarrirmi con il kitsch. Sul rosso sta bene il verde, quindi o le solite banali foglioline di prezzemolo o di basilico, o una qualche erba aromatica meno convenzionale e di stagione, o anche un ciuffo di radicchietto o di valeriana, o infine – perché no? – qualche fiore edule. A completare il tutto posso spargere del formaggio – parmigiano, grana o pecorino – grattugiato normalmente o in maniera grossolana, o a scaglie.
Perfetto. Adesso che abbiamo tutti gli elementi si tratta di metterli insieme; operazione non semplice perché abbiamo altre scelte da fare. So già cosa farebbe Vissani: uno stampino, dentro gli spaghetti, e quindi capovolti nel piatto a formare un tortino. Marchesi giocherebbe sulla provocazione, mettendo gli spaghetti scolati nel piatto, e in una salsiera a parte il sugo di pomodoro, con tanto di cucchiaino d’argento. Io, sempre in omaggio al principio della verticalità del piatto, li servirei semplicemente arrotolati con forchettone e mestolo.
Quindi: spaghetti già conditi arrotolati “a collinetta” su un piatto grigio, formaggio grezzo distribuito “casualmente”, ed a completare un ciuffo di valeriana, una calendula gialla ed una blu. Che ve ne pare?
Sembra semplice dire spaghetti al pomodoro, ma anche le “banalità” hanno bisogno di un progetto.

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2 Comments:

Anonymous Anonimo dice che...

E perché no spaghetti tutti tagliuzzati?
Boh, non so...a me il grigio non mi piace tanto per gli spaghetti....

09 febbraio, 2007 13:49  
Blogger Sandra dice che...

;-D
Si collabora,allora!!!
Mi piacciono questi spaghetti, red!!
Domani terza puntata..
notte!
G

11 febbraio, 2007 23:25  

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