domenica 4 febbraio 2007

Identikit di un cuoco


La cucina è, ed è sempre stata, il culto della sofferenza.
A molti di noi, che hanno una certa esperienza nel campo, in effetti piace così. A meno che all'improvviso non siamo usciti di senno, e abbiamo cominciato a pensare, per esempio, che non siamo più cuochi, ma portavoce di catene di supermercati, o forze della natura responsabili del miglioramento delle abitudini alimentari di una nazione, sappiamo chi siamo: gli stessi che siamo sempre stati. Quelli che lavorano nelle retrovie.
Noi siamo nell’industria dei servizi, nel senso che, quando i ricchi vengono nei nostri ristoranti, noi cuciniamo per loro. Quando i nostri clienti se la spassano, noi sgobbiamo. Quando i nostri clienti dormono, noi ce la spassiamo. Noi sappiamo (o dovremmo sapere) che non siamo come i nostri clienti, e non vogliamo esserlo, anche se ogni tanto ci prendiamo le nostre soddisfazioni.
La gente che affolla i nostri ristoranti è diversa da noi. Noi siamo l'altra parte, e ci piace che sia cosi. Saremo pure dei servitori glorificati, che si prodigano per soddisfare i capricci di gente più ricca (voglio dire, chi, tra noi, potrebbe permettersi di essere un cliente abituale di un nostro ristorante?), ma siamo più duri, più gretti, più forti, più affidabili, e ben consapevoli del fatto di essere in grado di fare qualcosa con le nostre mani, i nostri sensi, la saggezza accumulata con le migliaia di pasti serviti, qualcosa che loro non sanno fare.
Quando sei stanco, dopo una dura giornata in cucina, e un agente di borsa, tutto fighetto, se ne sta spaparanzato sulla métro, non ci pensi su due volte a dire a quel cazzone di farti posto. Tu te lo meriti! Lui no. (*)
Non è che sia sempre così. Quando si fanno i grandi numeri ed il rapporto cuochi-pasti serviti è molto alto, certamente alla fine della giornata tutti i muscoli, dalla testa alle piante dei piedi, sono doloranti e tesi come la pelle di un tamburo. Quando questo rapporto è invece basso, anche i grandi numeri non incidono più di tanto, ma qui siamo soprattutto nella cosiddetta alta cucina: dodici cuochi per venti coperti, o trenta cuochi per cinquanta coperti non si scannano più di tanto. Qui entra in ballo un altro fattore: il piatto che esce deve essere perfetto sotto tutti i punti di vista, e la fatica è nella perfezione. Ma questa rappresenta una percentuale inferiore nel complesso mondo della ristorazione.
Nella stragrande maggioranza dei casi la cucina è il reparto dove maggiormente viene applicata l’economia: in alcuni momenti servirebbe il doppio dei cuochi, ma in altri c’è tempo anche per fare quattro chiacchere. In genere, comunque, il numero di giacche bianche è sempre sottodimensionato dalla proprietà.
Molti quindi non reggono alla fatica ed allo stress. Oltre la metà dei giovani provenienti dalle scuole professionali abbandona il mestiere prima dei venticinque anni, e chi resiste ha una carriera davanti che promette lauti guadagni, proprio per la selezione che avviene a monte.

I cuochi sono una razza a parte, è fuori discussione, una tribù eletta. Sono sempre i servitori degli altri, ma viene riconosciuto loro la capacità – ed il potere che ne consegue – di saper trasformare il materiale grezzo in piacere. Ma su questo ritorneremo ancora.
(*)Anthony Bourdain: Avventure agrodolci - Feltrinelli traveller

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3 Comments:

Blogger Pepenero dice che...

ci sono sempre dei pro e dei contro ma io trovo che al di là di tutto sia un mestiere meraviglioso in quanto è necessario coniugare alla bravura e alla praticità anche quel tocco artistico e creativo che pur procurando molto più stress e fatica è il vero fondamento della soddisfazione...

04 febbraio, 2007 14:19  
Blogger Sandra dice che...

Il vostro è un mondo affascinante,che mi attira ogni giorno di più.. mi piacerebbe poter un giorno provare le stesse sensazioni che provi tu, la tua adrenalina!!!
Chissà, magari.. :)
P.s. come va il sale grigio??

04 febbraio, 2007 18:10  
Blogger Erik, il Vikingo dice che...

Eppoi c'è una soddisfazione (che spero di trattare in un prossimo post), una soddisfazione tutta personale, cioè il cucinare - prima che per gli altri - per sè, il fare cioè qualcosa che è tuo e solo tuo, che ti contraddistingue da tutti gli altri, anche se si tratta solo di una pasta al pomodoro.

x Gourmet - Il sale è meraviglioso e non finirò di ringraziarti.
Purtroppo siamo distanti, altrimenti ti avrei invitato qualche giorno al di qua della barricata, ma non si sa mai nella vita.
Ah, ricordati di lanciare ufficialmente il blogger raduno a Torino. Quando decidi, facciamo un elenco dei bloggers amici (ed interessanti, fra cui ovviamente Alberto) e diramiamo gli inviti. ok?

04 febbraio, 2007 23:10  

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