mercoledì 14 febbraio 2007

Manuale del perfetto turista


Il turista, per definizione, è uno che visita. Le chiese, le piazze, i musei, i monumenti storici, i centri abbandonati, il ridente paese, le verdi colline d’Africa, le scogliere di Dover, il natio borgo selvaggio.
Lo so, bisognerebbe fare distinzione tra turista e viaggiatore, ma in questo caso tutto fa brodo.
E parlo del turista oltre Brennero, perché già oltre Ventimiglia ed oltre Frejus il discorso cambia. L’oltre Brennero e verso Est ha una caratteristica particolare: non parla italiano, la sua lingua madre non è una lingua romanza e quindi non immagina neppure lontanamente cosa significhi “gran piatto”. Non è colpa sua, anche i nostri bambini non sanno una parola di tedesco o bielorusso.
Abitando in zona turistica ho pensato di superare l’ostacolo in due maniere (due): esponendo all’esterno il menu in italiano ed inglese – speculari, con il prezzo in euro al centro, in modo che non ci siano confusioni o cattive interpretazioni – e all’interno, nella carta, sempre in italiano, e nelle pagine successive in inglese.
Perché in inglese, se i nostri turisti-viaggiatori-visitatori sono in prevalenza d’oltre Brennero e verso Est? Anni fa le lingue da noi usate erano l’italiano (+ il veneziano per qualche Marco Polo) ed il tedesco, ma c’erano anche qualche inglese, qualche americano e sud-americano, qualche francese, che si sentivano francamente discriminati. Potevo scegliere di fare solo il menu in italiano e, a richiesta, fornire il traduttore Buffetti gastronomico in quattro lingue. Ed invece ho scelto la lingua ormai internazionale, l’inglese: oggi anche i neonati calabri lo conoscono, grazie ad Internet ed alla nostra anglofilia.
Tutto risolto, allora? Col cavolo.
Mi metto, o tento di farlo, nei panni del turista che cerca da mangiare. Da fuori do un’occhiata al menu, se non capisco un’acca dell’italiano scorro il testo inglese, se anche di inglese non capisco un heic, do un’occhiata ai prezzi (è chiaro che sui Champs Elisées una pizza Margherita costa quattordici euro, e tiro dritto). Convinto che non devo dar fondo ai risparmi di una vita per mangiare, sbircio all’interno per farmi un’idea, se mi va bene entro, mi accomodo, ordino e mangio (e pago).
Il turista-viaggiatore-visitatore d’oltre Brennero ed est invece ha un modo tutto suo di approcciare il distributore di cibo: legge prima tutto il menu esterno (di legge) in italiano, poi studia il menu sempre esterno bilingue, guarda dentro, si consulta con il resto della compagnia, entra, non saluta (dev’essere scritto nella guida che si fa così), fa il giro di tutto il ristorante, scegli il tavolo che più gli aggrada (meglio se è l’unico non apparecchiato), ristudia il menu che gli viene portato, apre un seminario di consultazione con gli altri, chiude il menu, si alza, ed esce senza salutare. Dio non voglia che nel frattempo non si sia già trangugiato una rosetta a sbafo.

Espressioni dalla sala: si comincia con lo stupore per passare poi alla commiserazione, quindi allo smadonnare Attila e tutti i Visigoti fino all’implorare un corso accelerato di buone maniere sulla ZDF e canali collegati. Ma così va il mondo, che ci volete fare.

Etichette:

6 Comments:

Blogger Pepenero dice che...

Dagli Champs Elisées si può venir fuori in mutande... bisogna fare molta attenzione...

14 febbraio, 2007 12:44  
Blogger Labelladdormentata dice che...

A Bruges trovammo un bravissimo cameriere che parlava perfettamente italiano, francese e inglese e aveva menù persino in arabo! Quella volta ero così stanca che gli feci ordinazioni in tre lingue diverse! Rimase francamente molto perplesso, visto che ogni volta che lui, per gentilezza, cambiava lingua, io riuscivo a rispondergli in una lingua differente!
Sugli Champ Elisèes mangiammo volutamente e scientemente da Fouquet...mah....

14 febbraio, 2007 14:15  
Blogger lapiccolacuoca dice che...

E non c'hai i giappo...tipologia particolarissima!
Gourmet internazionali, vanno solo dove si mangia bene e desiderano la spiega dettagliata del piatto,
gliela dai in lingua (che qui ce l'abbiamo studiato) e gli si rifila tutto il possibile che appena sentono una straniera che parla l'idioma madre loro, s'accasciano al suolo, tramortiti e impauriti. Spendono un patrimonio i gourmet internazionali.

14 febbraio, 2007 14:43  
Anonymous Anonimo dice che...

Ovviamente non tutti i turisti sono come quelli descritti, ci sono anche gli educati, gli intenditori, quelli che si lasciano far prendere per mano... Ad un prossimo post l'altra faccia della medaglia.

14 febbraio, 2007 16:56  
Blogger ruben dice che...

Io mi costituisco: sono xenofoba. Ma xenofoba "a chiazze": amo spagnoli, greci e tutti i mediterranei che sanno apprezzare la cucina italiana, e quindi sono intelligenti. Non amo gli orientali, ma siccome ci apprezzano, chiudo un occhio. E anche l'americano che non ha la più pallida idea di cosa sia la buona cucina, si rimette con la più aperta fiducia all'italiano che "sa".
I tedeschi, gli austriaci, i francesi, gli inglesi e tutto il nord, non capiscono niente: mangiano ma non "assimilano", e quando tornano a casa, continuano a mangiare antipasto, primo, secondo, terzo e dolce nello stesso piatto... in una magistrale sbobba. Praticamente la stessa pratica con cui noi serviamo i cani.

16 febbraio, 2007 10:26  
Anonymous Anonimo dice che...

@ruben:
E' sempre carino quando la gente comincia a generalizzare le culture. Vivere i propri pregiudizi. Culture che ha conosciuto forse una volta quando e' andata in pellegrinaggio come turista a umbriacarsi all'Oktoberfest. O magari ha visto addirittura qualche turista nel proprio paese oppure ha visto dei bei servizi in TV con l'autoincensamento del giornalista quando parla quanto sia meglio il proprio paese nei confronti degli altri.

Dedurre da un certo tipo di persone come sia fatta una cultura lo ritengo superficiale e un segno di mancanza di cosmopolitismo. Mi ricorda ai contadini dei piccoli paesi che non vedono oltre del proprio orticello.

Se avessi valutato il popolo italiano in base agli italiani che ho visto nel mio paese di origine o in altri paesi non c'avrei pensato nemmeno minimamente di passare la mia vita qua.

Chi no ha vissuto in un altro paese non si puo' permettere di poter valutare o addirittuare dire di conoscere una cultura o una parte della medesima.

17 febbraio, 2007 19:07  

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