mercoledì 29 novembre 2006

Spadellare


Ho saputo in Toscana che spadellare è sinonimo di sbagliare, da cui il modo di dire "fare una padella" tipico dei cacciatori, quando sbagliano colpo.
La cosa mi ha depresso perchè secondo i toscani avrei fatto un blog basato sugli errori. Mi sono tirato su con un paio di fette di soppressata, una delizia toscana che non ha niente a che vedere con la soppressa veneta, quel grosso salamone - squisito - che io preferisco crudo, ma che si può fare divinamente anche alla griglia.
La soppressata toscana è un salume fatto con pezzi di maiale di "scarto" come piedini, orecchie, cartilagini varie, il tutto condito con spezie e buccia d'arancia. Se ne trova anche alla Coop di turno, ma la soppressata buona ve la fornisce solo un ottimo salumiere o un contadino di fiducia: diffidate di quella rossiccia, ed acquistate quella bella rosa.
Va bene sia a tavola sia come stuzzichino ammazza-fame. Ottimo abbinamento: Chianti Classico o Morellino di Scansano.
E, per finire con la Toscana, non innamoratevi dei cantucci, deliziosi biscottini con le mandorle: un sacchetto di fronte al vostro programma televisivo preferito non dura più di mezz'ora.

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Il dramma italiano


"Per me la cucina francese resta sempre la numero uno": lo afferma Sergio Mei, executive al Four Season di Milano ed uno dei nostri chef più preparati nella conoscenza e nell'uso delle erbe in cucina.
"In Francia - continua Mei - c'è molto da imparare: tecniche, rigore, puntualità, una mentalità dove lo chef è lo chef e non si discute".
"Come diceva Alain Ducasse - afferma da parte sua Allan Bay - di grande cucina ce n'è in tutto il mondo, ma in Francia ce n'è di più. Certo, parliamo di alta cucina, il che presuppone una brigata di almeno 10 cuochi e un servizio di alto livello. Questo concetto richiede la presenza di un pubblico, e anche di questo ce n'è di più. E' il pubblico a fare l'alta cucina, il dramma italiano è proprio questo".

Alla vigilia di tornare a spadellare queste parole mi hanno fatto riflettere e (forse) giustificano la mia poca voglia di tornare al lavoro.
Chiariamo che nella mia cucina non siamo in dieci cuochi e che, quindi, secondo l'analisi di Bay in ogni caso non posso fare alta cucina. Oltretutto da sempre sostengo che l'alta cucina è come l'alta moda e, conoscendo i miei limiti, non posso nemmeno lontanamente pensare di fare alta cucina, ma solo di imparare da essa. Ma è altresì vero che è il pubblico a determinare il proprio posizionamento nella scala del successo, e non le guide.
Pensiamo ad un artista passato alla storia dell'arte, che ne so, Giotto o Van Gogh: se non avessero un pubblico che ammira le loro opere, nessuno saprebbe chi sono e che cosa hanno fatto per essere così grandi.
Indubbiamente un artista crea prima di tutto per sè (lo dice uno che fa foto di ritratti e di nudo, foto che non escono mai dai raccoglitori), ma la gratificazione del pubblico è il coronamento della propria opera, soprattutto se il successo è determinato da un concetto quantitativamente economico.
Al mio ritorno dalla capitale francese mi ha telefonato Marco, un caro amico albergatore, per chiedermi un consiglio. Un discorso tira l'alto, e così sono finito a parlare dei ristoranti francesi dove è abbastanza normale pagare quaranta euro per una buona cena; al che Marco mi ha confessato di essere anche lui reduce da un viaggio all'estero (Europa dell'Est), dove ha venduto il suo albergo a trentotto euro al giorno.
Questo dovrebbe essere il mio pubblico per l'inverno 2006-2007.

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Cosa sarà?


Cosa sarà? Stanno per finire le mie ferie annuali e non ho nessuna voglia di tornare dietro ai fornelli.
Mia moglie ed io abbiamo preso diversi spunti in giro ed abbiamo rivoluzionato la saletta del ristorante che è diventato proprio un gioiellino, abbiamo messo gli addobbi di Natale dentro e fuori, sono già arrivate le merci dai fornitori, domani finiremo gli ultimi acquisti, ma ho un po' di nausea a pensare che venerdì sarò di nuovo in cucina.
Cosa sarà?
Ho rinnovato il menu dell'inverno, introducendo piatti nuovi, adottando nuove soluzioni di impiattamento, ma non sono entusiasta come le altre volte.
Ieri, addirittura, a cena mi è venuto in mente che devo mettere mano anche al menu per il pranzo di Natale e per il Cenone di S.Silvestro, e mi è venuto un attacco di panico allo stomaco.
Cosa sarà?
Sarà la vecchiaia che avanza, le arie di Parigi o che altro? Certo che non è un bel sintomo partire per la stagione invernale con questo umore. Saranno gli astri in trigono o in opposizione? Eppure Paolo Fox continua a darmele buone.
Sia come sia, cari amici ed amiche, da dopodomani di ricomincia. Fatemi gli auguri.

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lunedì 20 novembre 2006

Siamo seri



Su un blog, per quanto serio possa essere, come questo, si possono sparare tutte le cavolate di questo mondo, ma quando sono i giornali ed i telegiornali a spararle, scusate, io mi incavolo di brutto perchè non mi va di essere preso per i fondelli.

Prima notizia (dai giornali). il pesce fa bene al cuore per via degli Omega3, ma non deve essere fritto: la "scoperta" è della professoressa Lupatelli dell'Università di Perugia ed è stata presentata al XX convegno Nazionale SISA di Bologna. Cavolo, non lo sapevamo! E se io dicessi che le prugne fanno bene contro la stipsi intestinale, pensate che farà notizia?
Certe scoperte mi ricordano un servizio visto anni fa su Discovery Channel sui delfini. C'era uno "scienziato" americano che descriveva la sua ricerca: "Ecco, il delfino ora nuota diritto, ora si volta a destra, ora va diritto, ora gira a sinistra..." e così avanti per mezz'ora. Non serve aver fatto il MIT o Harward per diventare scienziati di questo livello.

Seconda notizia (dai telegiornali). Da una ricerca di "scienzati" americani si evince (vi piace? si evince) che l'abuso della carne rossa fa venire il tumore al seno. Primo: devono dirmi se la carne rossa è europea o americana, perchè solo nel secondo caso avrei poco da eccepire. Secondo: andate a dirlo ai francesi, che mangiano (quasi) esclusivamente carne rossa e non mi risulta che muoiano tutti di tumore. Terzo: spiegatemi perchè la Val di Non è il posto con il più alto tasso di mortalità per tumori, ovvero dove mettiamo l'inquinamento atmosferico? Quarto: secondo i dati ufficiali di tutti i paesi occidentali, il letto è il posto dove muore la grandissima maggioranza delle persone, quindi il letto è letale? Quinto: quale lobby c'è dietro questa ricerca?

Scusate, ma io sono stufo di queste str...ambate.

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domenica 19 novembre 2006

Indirizzi utili a Parigi


Per finire, ma sarà vero?, le mie disquisizioni sulla ristorazione francese, dò gli indirizzi di alcuni locali che amo particolarmente.
Se cercate un ristorante per giovani, ma non esclusivamente, dove la cucina italiana è molto buona, provate nel 13°arondissement Les Cailloux, al 58 di Rue des Cinq Diamants.

Sempre di ottima cucina italiana e sempre alla moda per i radical-chic l'Altro, nel 6°, al 16 di Rue du Dragon. Se telefonate chiedete di Marzia, la direttrice di sala.
E sempre nel 6°, se volete qualcosa più su in fatto di classe, non perdete il Lei, al 17 di Avenue de la Motte-Picquet: la cucina è la stessa, ma l'ambiente è molto charmant (vedi foto). Fanno parte della stessa proprietà e non a caso hanno tutti, come chef supervisore, Salvatore Esposito, napoletano verace.

Se invece volete andare a colpo sicuro nella ristorazione francese, consiglio il neo-bistrot L'Avant-Gout, nel 13°, al 26 di Rue Bobillot, patron e chef Cristoph Beaufront, che l'Express indica come ottavo tra i migliori ristoranti di Parigi.

Ah, importantissimo: se volete andarci alla sera (primo turno verso le 19.30, secondo turno verso le 22.00) non dimenticatevi di prenotare sempre e per tempo. In caso contrario è quasi sicuro che non troverete posto.

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Fama e denaro



Nei post precedenti ho messo a confronto i diversi modi in cui francesi ed italiani si pongono di fronte al cibo ed alla ristorazione.

Chi fa della cucina professionale si mette di fronte al dilemma: soddisfazione morale od economica? In parole semplici: meglio essere su una guida gastronomica o badare al cassetto?

I francesi l'hanno risolto adottando una via mediana: attenti alle lodi, ma attentissimi alla cassa. Lo chef del Ritz, alla nostra domanda sulla loro reazione di fronte al fatto di aver perso una stella Michelin, ci ha risposto che della stella non importa loro niente, l'importante è che tornino i conti a fine mese.
Ma per far quadrare i conti hanno capito che occorre la qualità, quindi fragoline e foglie di menta fresche, anche a novembre avanzato, beaujolais per ubriacarsi a notte fonda nei bistrot, ma ottime etichette per le cene in ristorante.
Ed innovazione, ricerca del bello anche nel piatto, senza barocchismi ma con soluzioni che mi fanno inca...volare da quanto sono semplici e calligrafiche. Più di una volta mi sono detto: ma perchè non ci hai pensato anche tu? E' l'uovo di colombo.

Noi italiani, dopo aver raccolto gli applausi di mezzo mondo per la nostra bravura, ci stiamo un po' crogiolando sulle medaglie morali raccolte e siamo fermi lì, dimenticando quel famoso proverbio della gazzella e del leone. Proprio stamani su un giornale di categoria leggevo la ricetta di uno chef, peraltro mio caro amico, che presentava (ancora!) la coppetta di formaggio grana. E basta!
E' anche vero che ci sono ristoranti che non sono ancora arrivati alla coppetta di grana, ma siamo già verso la fine del primo decennio del nuovo secolo.

Noi italiani, tra fama ed euro, abbiamo scelto la via peggiore, abbassando la qualità del prodotto, cercando di guadagnare il più possibile la prima volta; se il cliente, poi, non torna più va bene lo stesso, perchè rimangono al mondo altri sei miliardi di clienti potenziali. Così, globalizzandosi la mediocrità della cucina italiana, il cliente si è adattato, felice di spendere poco, incurante di scivolare lungo un pendio che porta inesorabilmente verso il peggio.
Ho ancora davanti agli occhi le immagini di grandi chef, costretti da giornalisti di bassa caratura a difendersi sull'aumento dei prezzi dei propri piatti.

Io continuo a ribadire che la qualità si paga. Se scelgo un volo low-cost della Ryanair non posso lamentarmi che non mi servono lo champagne gratis; se è questo che cerco, devo rivolgermi all'Air France e pagare centinaia di euro per neppure due ore di volo.
Tutto qui il discorso. Nessuno regala niente, e se trovo un ristorante low-cost, sotto sotto qualcosa c'è.

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Altrochè parlare di cucina



Se volessi riassumere con una foto il carattere dei francesi userei quella stupenda immagine che il genio fotografico di Henri Cartier-Bresson ha regalato al mondo: di fronte al piatto e ad un immancabile bicchiere di vino rosso due giovani parigini si scambiano un tenero bacio.
Un'immagine che si ripete tutti i giorni e che, se andate a Parigi, non mancherete di rivedere.

Sesso. Qualche giorno fa su France 2 c'era un talk-show dove chiedevano: si può vivere senza sesso? Ottanta telespettatori francesi su cento hanno risposto negativamente. L'amore per il sesso penso che sia pari all'amore per i fiori, per i profumi e per la buona cucina.
Dicono che il primo pensiero dei transalpini, appena si svegliano, è cosa e dove mangiare a mezzogiorno. Ma non è la mania per il cibo degli americani: i francesi non si abbuffano di tutto, schifezze comprese, ma amano la buona cucina.

La prova è che i ristoranti dove fanno schifezze sono vuoti. E questa è la differenza con noi italiani che siamo diventati bravissimi nella gastronomia e nel sesso orale, nel senso che (cosa avevate capito?) siamo bravissimi a parlarne, molto meno a farne.
Nel blog precedente riportavo l'aneddoto di Ségolène Royal. I francesi non li puoi prendere in giro, Materazzi ne sa qualcosa: se ne intendono, ed agiscono di conseguenza. Se sono cozze, sono cozze, non vongole.
Da noi il discorso è diverso. A me vengono i brividi quando mi capita di dover uscire a mangiare: fresco fresco ieri, al rientro in Italia, mi fermo per strada all'ora canonica per il pranzo, scegliamo un ristorante che dovrebbe dare un minimo di garanzia ed ordiniamo dei ravioli fatti in casa per mia moglie, ed una trota con patate al forno per me. Morale della favola: ravioli che avrebbero fatto più bella figura a comperare i Rana, patate che solo allo sguardo erano incommestibili.

Questa è la realtà. La media ristorazione italiana, che fino a qualche anno fa era su livelli molto buoni, per assecondare un mercato di imbecilli culinari sta sprofondando in un abisso senza uguali. Ed attenzione, non è questione di reddito che manca, ma proprio di mancanza di gusto.
Faccio un esempio capitato a me personalmente. Un giorno un cliente (milionario, in euro) mi ordina dei canederli in brodo; glieli preparo ed escono, canederli senza uguali in un brodo fatto a regola d'arte (court-bouillon come da manuale, carne sceltissima, eccetera). Il piatto mi rientra perchè è "acqua sporca"; lo rifaccio con il brodo di dado. Commento: "Questo sì che è brodo".
E' un pezzo che non rivedo più quel cliente, ma - onestamente - non me ne può fregar di meno.

Questa è la platea della nostra ristorazione.

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Allez Royal!



Essendo sul posto, ho potuto seguire ancor più da vicino la nomination di Ségolène Royal alle presidenziali francesi del prossimo marzo.

Come gran parte dei francesi, faccio il tifo per Royal per tanti motivi, non ultimo il fatto che sia una donna - la prima candidata alla massima carica dello Stato -, una bella donna di appena 53 anni con quattro figli che ha il tempo per la politica (non è vero, quindi, che non si possa sposare famiglia e lavoro con uguale successo). Se riuscirà ad entrare all'Eliseo, sarò felice per i nostri cugini francesi, ma anche per noi, perchè - si sa - queste cose producono un effetto domino.

Ma che c'entra Ségolène con la cucina? Egoisticamente potrei dire che il primo motivo per cui c'entra con la cucina è che è cliente del ristorante dove lavora mio figlio (anche se l'ultima volta la cucina si è presa un cazziatone da lei perchè aveva ordinato un'impepata di cozze e gli hanno servito le vongole, essendo finite le cozze, senza essere avvisata).

Secondo motivo è che sostengo da sempre lo stretto rapporto tra il palato ed il basso ventre, ed una bella donna in sala fa sempre piacere.

Ma il vero motivo è che i francesi, ancora una volta e meglio di noi, sanno affrontare i cambiamenti senza tanti patemi d'animo. Chi pensa che la cucina francese sia quella delle creme e delle salse a base di quantità industriali di burro si sbaglia di grosso.

Nel mio peregrinare di questi giorni fra bistrot e brasserie ho cercato con bramosia un locale dove poter mangiare i classici della cucina francese: le coq-au-vin e le pot-au-feu (galletto al vino rosso ed un bollito misto di carni e verdure). Non ci crederete, ma non sono riuscito a soddisfare la mia curiosità gastronomica. Oggi- ma me l'avevano già detto qualche anno fa - la cucina tradizionale è in disuso: solo su ordinazione vengono ancora fatti i piatti come un tempo, oggi si usa l'olio d'oliva, si ammicca alla cucina mediterranea, e le salse sono introvabili.

Ne deriva una passione dei francesi per la cucina italiana, quella fatta bene, non quella delle bandierine tricolori dove dietro i fornelli ci sono i senegalesi o i cinesi. Non esiste paragone tra la loro attrazione verso di noi, che non viceversa, tant'è vero che sono pochissimi i ristoranti francesi in Italia, ed è un peccato perchè - come direbbe il mio amico FamBrambilla, abbiamo molto da imparare da loro. Ségolène insegna.

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sabato 18 novembre 2006

Soldi e argent


Già sulla via (aerea) del ritorno comincio a fare un po' il bilancio di questa vacanza parigina, stanco di pranzi, camminate e cene durate più di una settimana.
Pian pianino ne parlerò diffusamente, sperando che sia un contributo anche a chi, come Sandra, non è una professionista del settore e che, prima o dopo, anche lei andrà a visitare la capitale transalpina, se già non ci è andata .
Con l'eccezione di due sole cene a casa dell'amato figlio, i miei déjeuner e dinner sono stati consumati in bistrot e simili, quindi ho accumulato una discreta esperienza nel settore, qualcuna buona altre meno buone, diciamolo francamente. Ieri sera, ad esempio, ho lasciato (a fine cena) il mio tavolo qui fotografato alla Lilli Gruber dei TG francesi, una signora di nome, ma non di fatto.
Vabbé, ma non è questo che mi interessa.
Il fatto che mi va giù di meno è che a Parigi, se indovini il posto, il tipo di cucina ed i collaboratori giusti, si fa una pacca di soldi che in Italia neppure ci immaginiamo.
E' vero che a Parigi la vita costa, e non poco: in un ristorante, ma anche in una brasserie, in due non vi bastano sessanta euro con un bicchiere di vino ed un caffè. Ma, nonostante ciò, i locali sono pieni, almeno quelli che rispondono ai requisiti di cui sopra.
Sempre ieri sera sono stato testimone (nel giro di un'ora, quella più "tranquilla" del primo turno) di almeno una dozzina di persone rifiutate perchè non c'era più posto. In un altro locale, sempre "indovinato", in una sola sera sono state mandate via anche settanta persone.
Bene, con occhio clinico mia moglie ed io ci siamo fatti quattro conti. Date quattro persone in sala, quattro in cucina, dato un numero medio di coperti al giorno, dato il costo medio, siamo arrivati alla conclusione che il proprietario si mette in tasca ogni anno qualcosina come duecentocinquantamila euro all'anno, il corrispondente cioè di mezzo miliarduccio delle vecchie lire, tasse pagate e tutto fiscalmente dichiarato.
Mi piacerebbe sapere quanti dei nostri bei ristoranti riescono a tanto.

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domenica 12 novembre 2006

Il regno dei cuochi


Parigi, 12 novembre 2006

Approfitto del pc di mio figlio per aggiungere un post da Parigi.
Ho trovato la via che cercavo: è rue Cler, nel 7° arrondissement, trasversale di Avenue La Motte-Piquet. Isola pedonale, è il paradiso in terra dei gourmant e degli chef che cercano prelibatezze fresche di giornata. Qui i negozi di abbigliamento o no-food sono rari, tutto lo spazio è occupato da vetrine e bancarelle di generi alimentari - non certo a buon mercato - ma, si sa, la qualità si paga.
Splendide le verdura e la frutta: a Les Halles Bosquet potete trovare in questi giorni di metà novembre fragole, mirtilli e lamponi freschi, le trecce di aglio affumicato (!), rapanelli grandi come l'unghia di un pollice, i porri bianchissimi da quartanta-cinquanta centimetri, i carciofi sodi e compatti grandi come il pugno di una grande mano, le fave belle gonfie, gli asparagi verdi, le carotine con il ciuffo verde ed eretto, ed almeno una mezza dozzina di funghi, dai porcini ai finferli. Non parliamo dei frutti di stagione - clementine, mandarini, arance - che vanno letteralmente a ruba. Unico neo, rispetto a noi, le mele, sicuramente non all'altezza delle nostre.
Continuando su rue Cler, non mancano le pescherie, con le ostriche che vanno dai 9 ai 40 euro, le macellerie, le boulangeries, i negozi di formaggi. Segnalo la Ronde de Paris, una panetteria, dove vendono piccoli craften (quattro a 1,20 euro) che si chiamano beignés e brioche calde, una vera delizia, oltre ovviamente a centomila tipi di baguettes e pani ai vari semi e semini.
A proposito di formaggi, avete la possibiltà di degustare (ed acquistare) le specialità alsaziane, almeno una ventina di formaggi caprini, senza cadere nei soliti Camembert. La scelta del negozio è amplissima.
Se uscite presto, o volete rompere la mattinata con un caffè italiano, c'è il Caffè Vergnano dove (al banco) una tazzina costa ancora un euro. Se, invece, volete anche mangiare e gustarvi l'occhio con le jeunes filles che servono, non mancate la brasserie di fronte al Vergnano, lo ammette anche mia moglie.
A la prochaine.

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giovedì 9 novembre 2006

Arrivederci al 20 novembre

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Il Gambero Rosso in Trentino


Finalmente sono riuscito ad entrare in possesso della Guida 2007 del Gambero Rosso e, solito gioco, vado a curiosare nella mia realtà di frontiera (Alto Adige e Trentino, dove vivo).
Precisiamo subito che i numeri a volte sono fallaci, basti ricordare il noto principio del pollo statisticamente diviso fra due persone, uno che resta a bocca asciutta e l'altro che se lo mangia tutto. Però, a volte, anche i numeri hanno una loro valenza, se si va oltre i numeri per capire cosa c'è dietro.
Così stamani, di buon'ora, mi sono dilettato a fare quattro calcoli.
Il Gambero Rosso segnala in Trentino 17 ristoranti, contro i 48 dell'Alto Adige, come a dire che tre su quattro sono in provincia di Bolzano. In Trentino solo tre hanno ottenuto un punteggio da 80 in su, e di questi solo uno ha 85; in Alto Adige ben ventitrè superano la soglia dell'80, e fra questi troviamo addirittura un 90, un 89 e un 88.
Sempre riguardo al Trentino, contro due nuove entrate esce un locale (peraltro ben piazzato in altre guide); due ristoranti hanno un incremento di un punto rispetto all'anno scorso, ma altri tre perdono complessivamente il doppio, quattro punti.
Fin qui gli aridi numeri. Ma cosa c'è dietro?
Potrebbe esserci una prima ipotesi. L'ispettore del Gambero Rosso ha una particolare predilezione geografica ed una migliore conoscenza stradale della zona tedesca, e quindi lavora meglio e di più in Alto Adige.
Seconda ipotesi. Gambero Rosso ha due ispettori, uno per provincia: quello di Bolzano lavora, quello di Trento batte la fiacca, uno visita più ristoranti e quindi ne seleziona di più, l'altro si limita a quattro visite di rigore - tanto per giustificare il caché - ed è pure tirato sui giudizi.
Ma credo che queste prime ipotesi siano maliziose ed errate.
E' molto più probabile la terza. Trentini ed altotesini-sudtirolesi hanno un approccio con il cibo, e con lo stile di vita in generale, ben diverso: i primi, risparmiatori all'inverosimile, limitano le loro uscite al ristorante in occasione di battesimi, cresime e matrimoni, i secondi sono più goderecci, più propensi a cogliere i piaceri della vita, più "signori", maggiormente attenti non solo al look (pensiamo alla diversità abissale tra la cura estetica delle case in Sud Tirolo ed in Trentino) ma anche alla gola.
Di fronte ad una richiesta diversa, anche il ristoratore-tipo offre un servizio diverso: curato, attento, qualitativo ed innovativo l'altoatesino, tradizionale, quantitativo e mediocre il trentino. Ed in effetti la cucina rispecchia le diverse realtà sociali: chiusa in se stessa, impermeabile ai cambiamenti e iperprudente quella trentina, oserei dire cosmopolita quella bolzanina dove da sempre il ceppo autoctono tedesco ha dovuto fare i conti con le diverse correnti di immigrazione, dai veneti ai meridionali, fino agli ungheresi e, si sa, culture diverse portano modi di vita più aperti.
Quale prospettive per la cucina trentina? Non dò risposte. Mi piacerebbe che le desse qualche mio lettore, ma sono pessimista: anche nello scrivere i trentini sono taccagni.

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martedì 7 novembre 2006

I nostri cari, odiati cugini


Ancora una volta ti ringrazio, FamBrambilla, per l'attenzione con cui segui questo blog.
Ancora una volta, mi pare, i nostri gusti coincidono: sarà un caso, ma a Parigi alloggerò proprio a St. Germain, dove abita e lavora mio figlio (a onor del vero è stato lui che mi ha prenotato l'albergo).
Sabato sera un'amica che è venuta a cena - purtroppo con il marito, sig! - mi ha riferito che a Parigi c'è una via dove si trovano tutti negozi di formaggi. Io ho cercato sulle guide e nel Web, ma non ci ho ricavato tanto. E' forse rue Mouffetard? Ti risulta?
Ribadisco - e concordo con te - che noi italiani dobbiamo imparare molto dai colleghi francesi in fatto di basi di cucina, ed ultimamente anche sulle nuove tendenze (la nouvelle cuisine è ormai ancienne, e non interessa più a nessuno). Uno chef francese ha insegnato a mio figlio, e lui di conseguenza a me, l'uso di spezie per noi inusuali, come il cardamomo o il coriandolo; beh, effettivamente il piatto ha quel qualcosa di diverso che i clienti ne rimangono affascinati.
Sul resto, formaggi e vini in particolare, sono convinto con te che abbiamo poco da imparare dai cugini d'Oltralpe. Loro, a loro volta, devono lasciar andare la fantasia come sappiamo fare solo noi.
Ad ogni buon conto, caro FamBrambilla, di fronte ad un calice di Beaujolais - in mancanza del Novello - brinderò alla tua salute. Cin cin.

P.S. - Carogna, potresti qualche volta invitarmi nel tuo giro di Gambero Rosso, Jaccarino, Ferran Adrià & C. Dirai: basta pagare. Ma gli amici si invitano, non si fanno pagare, hi hi.
Un altro cin cin a te.

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lunedì 6 novembre 2006

Il menu compie seicento anni


Monsieur Boulanger ha inventato il termine moderno di Ristorante, ma non ha inventato il menu in senso stretto, cioè come lista delle vivande.
L'inventore questa volta è stata una inventrice, e nientemeno che una regina, quella Isabella di Baviera, che fu moglie di Carlo VI sul trono dal 1380 al 1422.
Succedeva, prima di allora, che chi andava a banchetto non sapeva cosa gli venisse servito, ammesso che gliene importasse qualcosa. Bisognava indovinare dal sapore quali erano gli ingredienti usati e, quindi, il piatto.
Mi immagino le figuracce:
"Buono questo branzino, Altezza".

"Barone, si tratta di pavone".
Forse per sollevare i propri commensali da giudizi ignoranti, forse per mania calligrafica, o forse per dare un po' di ordine alle cucine, la regina Isabella ebbe la brillante idea di mettere nero su bianco. E' nato così, ben seicento anni fa, il primo menu, non ancora come strumento attraverso il quale scegliere i piatti preferiti, ma come lista delle vivande.
Nonostante l'età, il menu resiste ancora, e si fanno perfino concorsi per premiare quello migliore.

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Les restaurants de Paris


In procinto di partire per le mie vacanze a Parigi, sto documentandomi sulla metropoli francese. E' già la quarta volta che ci vado, ma stavolta mi sono ripromesso di fare il viaggiatore, e non il turista. Quindi: navigazione sui siti francesi e studio delle guide italiane.
Scopro così notiziole interessanti che vi trasmetto subito.

Sapete chi ha inventato il ristorante? Nel 1765, prima della Rivoluzione, un certo Monsieur A. Boulanger (nome omen!) aveva un locale in Rue Bailleul - una laterale di Rue de Rivoli - dove vendeva già pasti a base delle immancabili zuppe, brodi e stinchi d'agnello. Un luogo dove i parigini potevano ristorarsi, se restaurer; da qui l'idea di M. Boulanger di mettere sopra la porta una targa con la scritta "Cose per ristorarsi", in francese Restaurants. Ed è nato il ristorante moderno.
Prima di allora esistevano già le osterie (ben conosciute anche nella Roma imperiale), ma i piatti erano quelli dell'oste, così come c'erano anche i locali dove si beveva il vino. La "rivoluzione" di M. Boulanger è stata di introdurre la scelta di piatti da una lista, accompagnandoli con laute bevute.
Quarant'anni dopo, passata anche la Rivoluzione Francese, a Parigi esistevano ben cinquecento ristoranti con un menù che prevedeva in linea di massima: quasi quaranta entrées (fra antipasti veri e propri e zuppe), una trentina di secondi di carne, due dozzine di secondi di pesce ed almeno cinquanta dessert.
Alla faccia della stitichezza!

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Per Daniele il pasticcere



Io ho mantenuto la promessa di linkare il tuo blog, Daniele, ma ora mi aspetto una risposta semplice semplice (così ti dimostro che ho visitato il tuo blog, e scaricato la ricetta dei krapfen).

Dalle quantità indicate, penso che con 500 grammi di farina mi verranno tanti krapfen che farò incasso solo con il bar del mattino. Ma se invece volessi fare solo - poniamo - una decina di krapfen, gli altri in esubero posso abbatterli in negativo dopo la seconda lievitazione? Quando ne avrò bisogno, come li rigenero? Solo lasciandoli scongelare e poi friggendoli, o friggendoli direttamente surgelati? E se li scongelo al microonde, cosa succede?

E se volessi fare dei krapfen salati, vengono lo stesso anche senza lo zucchero, vero?

Dai Daniele, voglio la risposta.

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Daniele, cuoco pentito ma pasticcere sopraffino


Per Daniele.
Stavo per replicare ai tuoi commenti, ma mi sono accorto che il discorso diventava lungo, ed ecco allora l'argomento per un post.
Complimenti Daniele perchè, come ben sai, portare avanti un blog è divertente, ma anche faticoso.
Eppoi ti invidio tanto, perchè per me la pasticceria è una terra abbastanza inesplorata ed affascinante.
Sì, per forza di cose anch'io mi dedico alla pasticceria, quella un po' casereccia per così dire, quella delle torte, delle mousse (non con le polverine), ma quanto vorrei saper fare quei dessert al piatto che - solo a vederli - ti si scioglie anche la trachea.
Ho seguito una volta una demo di Danilo Freguja che diceva: "La pasticceria può farla anche un handicappato: io ho un ragazzo portatore di handicap che lavora con me, gli dico cosa e quanto pesare, cosa mettere in planetaria piuttosto che in forno, e la torta è fatta".
Se è vero quello che dice Freguja, io sono sotto il livello dei portatori di handicap. Ma come si fa un bisquit? E la ganache? E quelle fantastiche creme? E le decorazioni?
So bene che anche in pasticceria, come in cucina, ci sono i trucchetti. I riccioli o le sigarette di cioccolato, come i pan di spagna o certe creme, si possono trovare già belle che pronte in commercio, ma... quanto siete bravi voi pasticceri!
Sicuramente voi avete un ricettario segreto, dove è indicata esattamente la temperatura del forno, il tempo di cottura, e via dicendo. Io ho seguito più di una ricetta (anche quelle di Freguja), ma ti dirò che - sconsolato - ho buttato via tutto.
Concludendo, ti onoro di un link sul mio blog al tuo; tu, in compenso, mi mandi quel ricettario segreto :-). Ciao, e avanti.

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giovedì 2 novembre 2006

Lezioni da chef - 4 e 5



Siate sempre puntuali, non accampate scuse, non incolpate gli altri.

Queste semplici regolette rappresentano la quarta e la quinta lezione che A.B. dà agli aspiranti chef.

Sulla prima - siate sempre puntuali - non vale la pena di soffermarsi a lungo. Puntualità anche oltre il periodo di prova, puntualità perchè il tempo in cucina è preziosissimo: se manca un cuoco, spesso i colleghi debbono sobbarcarsi il lavoro del ritardatario, specie se il tempo è contato.

A questo aggiungerei un corollario: siate veloci. Ho incontrato cuochi che - chissà perchè - hanno il ritmo del diesel, lenti, lenti; riescono ad entrare a pieni giri solo se li metti di fronte ad una serie di lavori infinita. Solo allora capiscono che devono far presto, pena il non riuscire a completarli, ed allora partono in quarta, altrimenti arrivano al momento del servizio giusti in tempo con le loro preparazioni. Non sarebbe più semplice correre prima, per riposarsi magari cinque minuti dopo?

La seconda regola - non accampate scuse - è più difficile da mettere in pratica, perchè è più facile scaicare il barile su qualcosa o su qualcuno, piuttosto che ammettere una propria colpa. Ma, ammettere un proprio errore, anche grave, non è disonorevole, se è vero che siamo tutti esseri umani e quindi soggetti a sbagliare (ce n'era Uno solo che non sbagliava mai, ed è finito in croce). Assumersi le proprie responsabilità dimostra forza di carattere e non ci sminuisce affatto agli occhi degli altri, anzi.

Cercare scuse, scaricare sugli altri, quasi sempre viene smascherato e, comunque, si capisce a chilometri di distanza. Se, poi, siete soliti a fare lo scaricabarile, anche quando dite la verità non sarete creduti, come chi grida "al lupo, al lupo".

Oltretutto, ammettere un proprio errore dà la possibilità di rimediare subito, nasconderlo fa sì che arrivi il momento che diventa un bubbone enorme, ed allora sì che non c'è più niente da fare.

Facciamo un esempio: domenica mattina, negozi e fornitori chiusi, ci accorgiamo che ci siamo dimenticati di ordinare un ingrediente indispensabile per un certo piatto. Avvertiamo subito lo chef, che farà a tempo probabilmente a sostituire il piatto. Far finta di niente, invece, scatenerà un tale casino al momento della comanda che vi conviene aver già pronto il vostro fagotto.

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